L’Intervista: LILAC WILL, una piccola perla, il loro album di debutto “Tales from the sofa”

Li ascolti e li riascolti, ecco quello che è successo a me seguendo le tracce del loro album di debutto che arriva tanti anni dopo la costituzione della band.

Uscito il 10 gennaio scorso ha già regalato molte soddisfazioni al trio di Latina. Ad avere l’idea di mettere insieme la formazione Francesca Polli, Vincenzo Morinelli e Giulio Gaudiello e tutto mette le radici a Roma nel 2014.

La loro produzione, come giustamente qualcuno ha suggerito, potrebbe essere una perfetta colonna sonora di film in cui il viaggio ricopre un ruolo determinante. La lingua scelta per esprimersi è l’inglese e il sound è un dolce folk americano, quello delle ballad sognanti. Un esempio?

“Tell me you love me” uno degli estratti dall’album

Questa volta voglio iniziare direttamente dal nome che tradotto letteralmente significa ‘Volontà lilla’. Mantiene il senso? E se sì..in che senso? Perchè questa scelta?

Sì, rispecchia molto chi siamo come gruppo e soprattutto il percorso fatto per arrivare ad esserlo. Diciamo che non siamo stati “genitori” che fantasticano sul nome da dare al proprio figlio ancora prima di concepirlo. Abbiamo invece aspettato di “vederlo” per dargli un nome su misura. E così, dopo aver già scritto diversi pezzi abbiamo ripensato a quanto forte, senza neanche rendercene conto, fosse stata la nostra voglia di ritrovarci in una sonorità comune. Tanto forte da dimenticarci di quanto stretto e scomodo fosse quel divano sul quale abbiamo iniziato a comporre le canzoni, con una parete lilla a fare da sfondo.

Bello il mood che sa creare la vostra musica, una sorta country ballad. Sono solo indecisa se il suono internazionale che sento (e non stabilito dalla lingua scelta per interpretare i vostri brani) sia più americano o inglese, perché non mi sembra smaccatamente né l’uno né l’altro. Sbaglia il mio orecchio?

La verità è che non lo sappiamo neanche noi, perché agli inizi nessuno aveva idea di cosa sarebbe uscito fuori e non ci eravamo imposti uno standard da seguire. Quello che possiamo dirti sono però gli ascolti in cui ci rispecchiamo di più, folk canadese ed islandese.

E’ una storia già abbastanza lunga la vostra, la band nasce nel 2014 e so che provenivate da diverse estrazioni musicali. Quali?

L’amicizia va ancora più indietro nel tempo, avendo frequentato lo stesso liceo e/o la stessa scuola di musica. Più tardi alcuni abbiamo cominciato a suonare chi blues, chi funk, chi rock, che andavano ad aggiungersi ad ascolti di artisti soul e della Motown, rock anni ‘70 e ‘90. Insomma nei vecchi lettori cd girava molta roba.

Come è nata in voi la voglia di esprimervi nell’ambito di quella corrente che viene chiamata indie folk? Vi siete trovati d’accordo sul percorso da seguire?

Come dicevamo la sintonia non è nata sulla base di un genere preciso ma è stata molto spontanea: abbiamo iniziato a suonare assieme per “intrattenerci” dopo qualche cena casalinga senza nessuna paranoia su cosa tirare fuori. Il sound che usciva dalle prime le registrazioni di fortuna fatte con i cellulari ci piaceva ed accordo dopo accordo siamo arrivata a scrivere i dieci pezzi che compongono il nostro disco.

L’ispirazione da dove proviene, cosa vi ispira maggiormente?

Abbiamo la fortuna di vivere vite piuttosto piene e di avere caratteri e attitudini differenti. Questi aspetti rappresentano sicuramente una fonte importante a livello di stimoli ed idee da mettere al servizio della nostra musica quando ci ritroviamo insieme con i nostri strumenti. In generale ci appassionano i cambiamenti, come noi e le persone che incontriamo sul nostro percorso si approcciano nella loro vita alle cose che non si aspettano o che alla fine accadono.

Da subito avete condiviso il palco con nomi importanti, come Eugenio Finardi e altri hanno collaborato con voi come Roberto Angelini. C’è qualche considerazione di questi ultimi che vi ha particolarmente entusiasmato?

Ogni volta che ci siamo trovati a condividere situazioni con artisti come loro, sia partecipando ad uno stesso evento o suonandoci assieme in studio, ci siamo accorti di quanto sia tutto più semplice quando c’è la musica di mezzo: magari all’inizio puoi sentirti un po’ teso o in imbarazzo, ma alla fine inizi a suonare ed hai la sensazione che le “differenze” si annullano perché uniti dalla stessa passione e dallo stesso linguaggio.

Roberto Angelini inoltre è più volte accanto a voi nel tempo

È davvero un grande, e non lo diciamo soltanto per la splendida chitarra slide che sentite in “Tell me you love me”. Ti contagia con il suo grande entusiasmo per tutto ciò che riguarda la musica, è sempre disponibile e pronto ad incoraggiarti: è capitato spesso che durante una sessione di registrazione particolarmente faticosa in studio, lui passando da quelle parti con un suo “Daje” ci desse nuove energie positive per chiudere in bellezza una traccia.

Quindi a lui, così come Marco Fabi e Luca Carocci che hanno prodotto il nostro album, va un grande grazie per il supporto!

Però più ascolto i vostri pezzi, più mi trasportate negli Stati Uniti, sento sempre più marcatamente un suono ‘all’americana’. Ri-sbaglio?

Alcuni di noi lo hanno ascoltato molto, tanto che qualcuno ci ha detto che il nostro disco sarebbe una colonna sonora perfetta per una viaggio on the road. Per le melodie invece, ci hanno influenzato cantautori canadesi come Feist o islandesi come i Sigur Ros.

Come vuole il ‘genere’ musicale che interpretate, pochi gli strumenti e principe è la voce.

Nasciamo come trio, composto da voce chitarre e basso. Con il tempo abbiamo aggiunto anche altri elementi come ad esempio corista e batterista (rispettivamente Giulia Milizia e Giose Tufano), che sono un grande valore aggiunto. Il disco rispecchia molto la nostra essenza iniziale, è una foto sincera di noi. E poi ovviamente c’è la naturale evoluzione delle cose: quella foto sarebbe diversa se la facessimo oggi, ma siamo sicuri che ci renderebbe comunque felici e soddisfatti come lo eravamo allora.

Ma dedichiamoci al vostro album di debutto “Tales From The Sofa” che arriva solo quest’anno.. fortunatamente siete riusciti a farlo uscire prima che la pandemia da Covid 19 paralizzasse l’Italia e il mondo. Siete soddisfatti di ciò che avete prodotto? Tra l’altro il nome sembra premonitore..considerando quanta parte ha avuto nelle nostre vite i mesi a seguire il ‘sofa’, il divano, nel nostro isolamento casalingo

In effetti sarebbe stato un peccato perderci quello che è stato il nostro release party di gennaio a Na Cosetta a Roma, una serata stupenda con il locale che strabordava di persone e noi di felicità. Speriamo che i vari live che non abbiamo potuto fare siano soltanto posticipati, ma nel frattempo abbiamo sfruttato questo periodo per fare tante cose, dedicandoci a fissare idee che magari diventeranno nuovi pezzi quando ci ritroveremo in sala prove e anche a reinterpretare canzoni di artisti che ci piacciono particolarmente (se non avete ancora ascoltato le nostre cover di Truppi e Gnut, cosa state aspettando?)

Singolo apripista “Black show”, perchè la scelta è caduta su questo pezzo?

Per noi è la scintilla, è il primo pezzo scritto e si può dire che sia nato tutto da lì. Il nostro viaggio parte con questa canzone e sceglierlo come primo singolo ci sembrava un modo per condividere anche il nostro percorso oltre che la musica in sé.

Il video è stato girato a Mantova e anche qui domanda che nasce.. spontanea, perché?

In tempi non sospetti, aggiungiamo noi. Ci avevano invitato lì per partecipare al festival MEI della musica indipendente e durante il viaggio Giulia (che oltre che con la voce è bravissima anche con la videocamera) fece alcune riprese. Riguardandole dopo qualche tempo ci sono sembrate perfette per fare da “sfondo” alla nostra canzone. Così abbiamo chiesto a Paolo Scarpelli (Wow Tapes) di montarle ed il risultato è il videoclip di Black Show.

In qualche maniera le vostre radici ‘geografiche’ entrano nella vostra creatività?

Siamo cresciuti a Latina per poi spostarci, più o meno stabilmente a Roma e questo ha sicuramente avuto una sua influenza su di noi. Magari non direttamente sul nostro sound, che non riscontra molte affinità con la musica della scena locale, ma ci ha consentito di sfruttare al meglio i punti di forza delle due città: a Roma puoi scoprire e conoscere tante novità musicali. Latina, pur essendo vicina alla Capitale, ha la capacità di farsi sfiorare dalle sue mode folgoranti senza però sentire la necessità di seguirle ad ogni costo,  lasciando quindi la possibilità di scegliere serenamente la musica che fa battere il proprio cuore, ispirati soprattutto da grandi musicisti. Un punto di partenza fondamentale per chiunque voglia esprimersi con la musica, quindi anche per noi.

Quali sono i punti d forza di questo album

Tales from the sofa” nasce senza preconcetti e diventa disco dopo diverse esperienze live. Quindi cattura sia la purezza delle intenzioni di tre amici che suonano senza pensarci troppo su, sia l’atmosfera e l’alchimia che si crea sul palco. “The street“, per esempio, è un pezzo che si è trasformato praticamente da solo almeno sei volte prima di diventare quello che è adesso: ad ogni live usciva con un’intenzione diversa. Questo ha modellato in maniera naturale la canzone fino a darle la sua forma finale.

Come avete vissuto la ‘clausura’ da emergenza sanitaria? Come è stato questo periodo?

Dopo un primo momento per capire come organizzare una sorta di “smart working “ musicale, lavorando da tre città diverse, abbiamo cominciato a lavorare su cover e nuove idee. Abbiamo ascoltato tanta nuova musica interessante (a proposito, sul nostro profilo di Spotify potete trovare le nostre playlist Lilac Roots con le nostre radici ed una chiamata Lilac Mood che riprende un po’ il nostro immaginario sonoro), ricevendo a nostra volta molti feedback positivi da persone che durante la quarantena avevano iniziato a seguirci. Una cosa altrettanto vera è che in gruppo – anche in periodo di quarantena – non ci si sente mai soli.

E adesso? Vi state godendo il momento oppure siete già al lavoro su nuovo materiale?

Ci siamo adattati, organizzandoci in maniera molto diversa da quanto eravamo abituati a fare: le “jam creative” erano (e torneranno ovviamente ad esserlo) una parte molto importante nella scrittura dei pezzi. In questo periodo è stato invece come lavorare sempre in studio, registrando le nostre idee per poi condividerle e svilupparle nelle nostre rispettive stanze. In attesa della fase 3: ritrovarci e mettere insieme i pezzi del puzzle.

Quanto è difficile farsi largo nel mondo della musica oggi, ancor più da indipendenti?

Ci sono tanti fattori che incidono su questo aspetto ed indubbiamente “emergere” è motivo di soddisfazione. Ma non crediamo sia il fine da perseguire. Quando ciò che fai ti piace e ti fa stare bene, la felicità non sta nel numero di stream o di visualizzazioni ma nella condivisione di quello che tu reputi un pezzo di te con altre persone, che siano cento oppure diecimila.

Come si sente un artista oggi se non appartiene a delle major?

Dipende molto anche dai motivi che ti spingono a fare musica: se alla base c’è il desiderio di “arrivare” potrebbe essere facile sentirsi scoraggiati ed avviliti. Nella maggior parte dei casi, però, prevalgono sempre e comunque l’entusiasmo e la passione per ciò che si fa. Nei momenti in cui l’artista fa l’artista, su un palco o in sala prove, la parola major non esiste.

E secondo voi cosa determina il fatto di essere sotto etichetta major?

È variegato l’elenco di grandi musicisti sotto contratto con delle major, ma anche quello di bravissimi artisti che non lo sono.  Più che l’etichetta, quello che alla fine conta veramente è sentirsi liberi di esprimersi e appagati per come il tuo lavoro arriva al pubblico. Questo cambia tutti i parametri di valutazione nella scelta che l’artista fa dell’etichetta – cosa tutt’altro che secondaria rispetto alla scelta dell’artista da parte dell’etichetta.

Quali sono i vostri obbiettivi/sogni?

Tanti, ve ne citiamo due. L’altro ieri abbiamo provato a reinterpretare per gioco un pezzo di Francesco Motta, ci è piaciuto così tanto che un attimo dopo stavamo cercando il contatto del suo manager (non siate timidi, se lo conoscete diteci pure) per proporgli un featuring.

E poi vorremmo girare un videoclip in Islanda, tra balene e geyser (e qui probabilmente ci toccherà far partire un crowdfounding a breve 🙂

…questa è libera..

Dopo una ventina di domande è chiaro a tutti che sì, siamo belli e bravi. Ma ci pare giusto rivelarvi alcune verità scottanti su ognuno di noi. Partiamo da Francesca: NON chiedetele mai di farvi un caffè, lo diciamo per il vostro bene. Proseguiamo con Giulio: NON chiedetegli mai di fare un post su Instagram, probabilmente non sa neanche come si accede. Infine, Vincenzo: NON parlategli mai di strategie sui social, potreste perdere la sua amicizia.

Biografia:

I Lilac Will nascono nell’ estate del 2014 a Roma da un’idea di Francesca Polli, Vincenzo Morinelli e Giulio Gaudiello.

 Le differenti estrazioni musicali dei tre musicisti di Latina, convergono da subito in un folk originale, sognante dal tono caldo ed introspettivo.

Nel Febbraio 2015, accompagnati dalla corista Giulia Milizia, portano il loro progetto nei locali della capitale, condividendo il palco con cantautori come Leo Pari, Gnut e Livia Ferri.

Nel Luglio dello stesso anno vincono il Roma Folk Contest ed aprono il Roma Folk Fest 2015 a Villa Ada che vede alternarsi sul palco numerosi artisti tra cui la Gazebo Band ed Eugenio Finardi.

Successivamente partecipano al Roma Folkfest Spring preview in occasione del Release Party dell’album di Francesco Motta e vengono selezionati per esibirsi alle finali del MArte Live al Planet di Roma ed alla Festa della Musica di Mantova dal MEI.

Parallelamente inizia la collaborazione con Luca Carocci e Marco Fabi attualmente impegnati nella produzione artistica del loro primo album “Tales from the sofa” di prossima uscita e che vede la partecipazione di artisti come Roberto Angelini, Claudio Gatta e Fabrizio Fratepietro.

La band decide poi di introdurre nei suoi live un batterista, Giose Tufano, e nel 2017 si dedica quindi alla rivisitazione dei suoi pezzi per integrare in maniera ottimale il nuovo elemento con ritmiche ed armonie fino a quel momento basate su un sound prevalentemente acustico avendo modo di “testare sul campo” il nuovo assetto con diverse date dal vivo.

Il 2018 vede proseguire l’attività live con numerose sperimentazioni, come ad esempio collaborazioni con Emanuele Colandrea in veste di special guest alla batteria ed il concerto tenuto al teatro Fellini di Pontinia (Lt). Proprio dall’ottimo esito di quest’ultima esperienza nasce l’idea di proporre il repertorio anche in chiave teatrale, creando uno spettacolo che coinvolge attori e ballerini e sul quale i Lilac Will stanno attualmente lavorando per perfezionarlo e presentarlo nuovamente in futuro come progetto parallelo ai consueti live.

Nel 2019 pubblicano per Romolo Dischi il primo singolo, “Black Show”.